INTERVISTA IMPROBABILE A........
RITORNA LA SAGA DE "L'INTERVISTA IMPROBABILE"
CHI AVRÀ BLINDATO QUESTA VOLTA LO STREGATTO?
Casciago, sera di inizio aprile. L’aria si sta scaldando e il
sole, finalmente, non vuole andare a dormire più così presto. Con una scusa ben
studiata ho dato appuntamento a Vincenzo Crocetti, Allenatore di basket con la
A maiuscola. Eccolo!
Lo attendo al tavolo. Sì, tavolo per due. Emozione! Sono di fronte
al capo in testa. Saluti e convenevoli fatti gli porgo il menù accanto a me.
Che pizza prendi?
Fa finta di
sfogliare e leggere, in realtà serve solo per fare un po' di scena.
Mmm... Vado sul semplice: una margherita con doppia mozzarella per
me. Se dovessi scegliere tra queste pagine –
sguardo sulle pagine successive (quindi è già oltre quello che mi posso
permettere) - prenderei una grigliata di pesce. Decidiamo per la pizza.
Da bere?
Una birra, anzi una panaché con la pizza.
Bene. Ordiniamo.
Rompo il ghiaccio
così. Funziona sempre con un piatto davanti.
Cominciamo a dare
i numeri? (Mi guarda stranito...)
Giorno, mese,
anno, ora di nascita.
8 novembre 1957
Giorno della
settimana?
Eh... Non lo so.
Ora? (Ride)
Non la conosci?
No – ammette, ma sono pronto a scommettere che prima di
domani mattina sarà andato a consultare Google Calendar, gli astri e
soprattutto la mamma!
Insisto: ora?
Ride di nuovo. Non c'è
speranza!
Cosa volevi fare
da grande e cosa invece hai fatto? (magari
è stato bambino anche lui e ha sognato di fare l’astronauta, il panettiere o il
marinaio.)
Esattamente quello che sto facendo. Stavolta è lo Stregatto stranito.
Pensa che in terza media allenavo i bambini di seconda media poi
ho sempre fatto il giocatore e l’allenatore. Ho voluto frequentare l'ISEF per
fare quel che avevo in mente. (Specifico
per i giovanotti che ISEF corrisponde all'attuale Scienze motorie, ovvero
l’Università dello sport, molto sport e non solo sport) . Mi piaceva la
pallacanestro, allenare i bambini e i ragazzi. Ho preso da mio padre che amava
molto questa disciplina.
E’ nata dunque così la passione per il basket?
È nata perché mio fratello più piccolo giocava all'oratorio alla
Robur (una volta la sede era all'oratorio), quindi ha cominciato lui, poi io
gli andavo dietro. Io ero molto più bravo a calcio e probabilmente a calcio
avrei avuto più successo che a basket.
Ancora qualche
numero... Numero di scarpe?
43
Numero di maglia?
Ho iniziato con l'8 perché era il giorno di nascita poi il 14 per
tanti anni. Non mi ricordo cosa significasse...
In effetti vedo
che va alla ricerca di un briciolo di ricordo, perché un numero sulla schiena,
specie se scelto e portato per tanti anni, sicuramente qualcosa significa. In
assenza di ricordo autentico, però specifica:
Non sono mai stato attento a questi particolari, quindi se dovessi
scegliere adesso nome e numero non saprei.
In sette righe mi
parli della tua vita professionale? Non ti chiedo una miniatura ma nemmeno una
striscia pedonale, fai tu. (So di essermi
infilato in un ginepraio e, me lo sento, sarà un rotolone regina!)
Ci sono due linee che si intrecciano - ecco, la fa già complicata... - quella della giovinezza con una
passione fortissima per il gioco e onestamente ero molto bravo, forse anche più
di quello che ho raccolto. Giocavo in serie B sono stato sempre molto leader
nei campionati che ho giocato (il molto è
rafforzativo, perché c'è il “leader” e “il più leader”.) In contemporanea
facevo l'insegnante a scuola. Insegnavo e giocavo. Poi insegnavo, giocavo e
facevo il minibasket. Poi insegnavo, allenavo e facevo il minibasket. A 29 anni
ho smesso di giocare e subito ho allenato la serie C della squadra dove
giocavo. Ho smesso e sono diventato il capo allenatore allenando per anni le
squadre dei grandi.
Più tardi ho ripreso il mio vecchio amore che era quello di fare
il minibasket. Nel 2000, inoltre da insegnante di educazione fisica sono
diventanto, per scelta, insegnante di sostegno. (non so se si capisce, ma è talmente infervorato dal racconto della sua
carriera che non mi lascia possibilità di intevenire). Nell'arco della mia
vita professionale sono stato un giocatore, un allenatore e un insegnate super-agonista.
Tutto però ha lasciato il posto al lato di me più affettivo e pedagogico,
regalandomi la possibilità di guardare le cose da un lato diverso. E il lavoro
con i bambini a scuola ne è prova. Queste due anime si sono fuse. Con l'età
sono diventato meno agonista e più insegnante, anche se l'idea che ho sempre
avuto è stata quella di dare l'opportunità di far imparare il massimo
possibile. Forse perché non ho avuto io la stessa cosa sia da studente sia da
cestista. Ho avuto buoni insegnanti ma nessuno
mi ha mai detto cosa fare, come comportarmi, cosa sbagliavo. E forse
anche per questo ora questo mio modo di essere è sempre teso a incitare,
correggere, consigliare i ragazzi che alleno. Chi lavora per tirar fuori il
meglio dalle persone (nel mio caso dai ragazzi) fa una grande cosa.
Gli occhi
diventano lucidi, non dico altro...
Non sono mai stato un buon allievo, né come studente a scuola né
come giocatore perché ero difficilmente gestibile, soprattutto perché ero molto
avanti rispetto al livello dei ragazzi della mia età. Quando giocavo da
juniores potevo dire al mio allenatore come fare. Capirai che nella mia
crescita non è stato certamente un punto a mio favore, tuttavia non trovando
persone che mi dicessero come fare... - Penso che a questo punto ci voglia un
esempio pratico, ma è talmente lanciato che interromperlo mi dispiace. E poi...
colpo di scena! Sposta la prima cosa che trova sul tavolo per creare un
diversivo e spiega - Ero convinto che per giocare in serie A dovessi fare trenta
punti a partita. Se però qualcuno mi avesse spiegato che il playmaker italiano
fa venti assist, forse i miei risultati e il mio gioco sarebbero stati diversi.
È importante valorizzare le capacità di ciascuno. Poi valgono anche le regole.
Io ho avuto buone regole dai miei genitori e mi hanno dato un bell'esempio.
L'importante è capire ciò che si fa. Un po' come prendere 10 a scuola. Non lo
si prende per far contento l'insegnante, ma per far bene a se stessi. Ragazzi: stampatevelo in testa, su un 50x70,
scrivetelo sul muro della vostra camera. Avete capito cosa dice il vostro
coach?
Sette righe,
eh...?
Dove insegni?
A Casciago.
Quindi i ragazzini
che arrivano in palestra magari li hai visti a scuola?
Si, una parte li ritrovo al pomeriggio. Dopo tanti anni ho
finalmente una sede di ruolo. Ho insegnato in tante scuole. Varese e Castiglione
giusto per fare un paio di esempi, poi diversi anni a Gavirate. Ora la scuola
media di Casciago la sento proprio mia. Pensa: insegno da quando avevo 20 anni.
(facendo i conti della serva: 1957 anno
di nascita, a 20 anni inizia a insegnare, quindi arriviamo al 1977. Oggi siamo
nel 2015... cinque meno sette non si può fare, chiedo la decina al... 38 anni di insegnamento??? )
Smetto con i calcoli e ritorno alla domanda che volevo fare al
coach.
Parliamo del
Vincenzo giocatore. Mi hai già raccontato della tua passione per il basket… (non riesco a finire la domanda perché
anticipa la risposta. Usa tattica anche in questo campo il coach!)
E’ successo così: giocavo alla Robur et Fides ma non hanno saputo
valutare il mio gioco e, quindi diciamo che ho perso un po’ di tempo. Dopo un anno in serie B sono andato a giocare
a Legnano. Naturalmente, Robur desiderava ricomprarmi, ma Legnano, altrettanto
naturalmente non voleva vendermi. Ho deciso io per tutti e due, così
decisamente arrabbiato sono andato a giocare in Promozione per un anno facendo
l'allenatore-giocatore. Indovina? Abbiamo vinto il campionato. La carriera è
proseguita in C2, in C, e in serie B a
Bergamo. A quei livelli gli impegni sono gravosi, però e siccome non amo i
compromessi, ho smesso di fare l’allenatore/giocatore. In seguito ho giocato
ancora qualche anno a Venegono.
Mi sono tolto delle soddisfazioni anche se non ho giocato ai
livelli cui aspiravo. Ho vinto tanti campionati, ero il giocatore importante
della squadra: playmaker e realizzatore. Un giocatore estroso, molto tecnico,
direi moderno rispetto ai canoni del tempo. Mi sono sicuramente divertito anche
se non ho avuto le chance giuste per giocare in A. Mi avevano chiamato a
Chieti, ma ho rinunciato perchè significava trasferire la mia famiglia e al
tempo non la ritenni una scelta giusta.
I consigli che dai
ai ragazzi nascono molto dal tuo vissuto...
Quando un ragazzo ha cuore non puoi non prenderlo a cuore. Quando
mi innamoro di un progetto non posso non portarlo avanti. Non posso non avere
cura di chi gioca con passione. Mi piace l'idea di lasciare in loro la mia
impronta. Oggi ci sono genitori che portano in palestra i loro figli, ma a loro
volta sono stati miei allievi. Mi fa molto piacere. Significa che si sono
trovati bene.
Hai un ricordo
anche vago della prima convocazione?
Certo. Me lo ricordo benissimo. Ero a casa ed era una domenica
mattina di primavera. Pensai: "Se si facesse male un giocatore dovrebbero
chiamarmi (che porta jella...). Poco dopo è suonato il telefono e dall'altra
parte sento: " Si è fatto male Beppe Rodà, vieni a fare l'allenamento”. Ho giocato le ultime partite della stagione in
serie B per sostituire l'infortunato playmaker titolare.
Non glielo hai mai
detto che per colpa o merito suo tu hai giocato?
No... ride... Forse era
così tanto il desiderio di giocare...
Puoi definire il
“Vincenzo e giocatore” con tre aggettivi?
Pensa... Pensa...
Ammazza se pensa...! Sicuramente ero molto
estroso, poi responsabile nel senso che non avevo paura di prendermi delle
responsabilità. Il terzo aggettivo? Indubbiamente... ci pensa ancora... “Grintoso” mi sembra un termine riduttivo.
Direi caratterialmente molto forte.
E ora le emozioni
di “Vincenzo giocatore”.
L'emozione più bella è stata la promozione in serie B con il
Legnano perché ero molto giovane e facevo squadra con giocatori esperti che
venivano anche dalla serie A. Il clima di quella società era eccezionale.
Un'altra situazione che mi ha regalato emozioni forti è stato l'anno dello
spareggio in cui ero allenatore e giocatore della Promozione. La partita finale
è stato un capolavoro perché non eravamo i favoriti e al palazzetto c'era tutto
il mondo varesino a vedere la partita. Promossi allo spareggio! Ti rendi conto?
Era una promozione importante.
E poi ricordo una partita si serie C di andata ad Arosio contro
una squadra molto forte. Superlativa!!! Dovrei
mettere righe di punti esclamativi tanto è il fervore suscitato dai ricordi. Feci 35 punti giocando come playmaker e
facendo giocare tutti. Mi sentivo parte di una Squadra! Ero emotivamente molto
coinvolto.
Per come lo
racconta sembra sia successo tutto ieri sera. Gli si legge la soddisfazione,
l’emozione, la tensione, la paura. Insomma quel mix di emozioni da finale, e te
ne fa sentire parte, come se la coppa l’avessi alzata tu insieme alla squadra,
come se il giocatore in campo fossi stato anche tu.
Ho preso
informazioni su di te, prima di presentarmi stasera, e ho trovato un documento
che testimonia la tua presenza in campo da giocatore: Vincenzo con maglia numero
10 sponsorizzata Hoonved...
Si, lì giocavo a Venegono, nella parte finale della mia carriera.
Avevamo perso la finale con Arosio, nell'anno in cui all'andata feci 35 punti.
Andò così. Suspance. Quel che segue è da
leggere d’un fiato immaginandosi di essere, se non nel campo o in panchina,
almeno in tribuna. Eravamo ai playoff. La prima partita in casa la perdemmo
di un punto. Tirai io l'ultimo pallone, ma sbagliai. I compagni non dissero niente
ma avevo un po' avvertito del malcontento. La seconda partita a casa loro la
vincemmo di 20 punti. La terza partita era da noi che eravamo già pronti per
festeggiare. Agli ultimi secondi di gara ci trovammo sotto di un punto con la
palla. L'allenatore chiamò il minuto. Rimessa. Silenzio. Nessuno tirò. Finimmo con
la palla in mano perché a quel punto la palla era diventata pesante... Io non
tirai e nessuno dei miei compagni lo fece. Perdemmo di un punto.
Il confine tra
giocatore e allenatore è davvero molto sottile e nei tuoi racconti spesso i
ruoli si intrecciano. Cerchiamo però di capire di più di “Vincenzo allenatore”.
A livello giovanile mi sono tolto delle belle soddisfazioni perché
ho fatto svariate finali nazionali: con le squadre junores, con una squadra
under 14, ad esempio. E poi ho vinto più volte il trofeo Garbosi e vari tornei.
Il capolavoro è stata però la promozione con il Bosto dalla C2 alla C1: erano
gli anni 94/95 una squadra molto giovane che ha vinto il campionato facendo
molto di quello che si poteva. E ancora con Gavirate: ho preso una squadra che
era in promozione, abbiamo costituito una società e la squadra è arrivata in
C1. Puntava alla B mettendo sempre giocatori pescati dal sommesso. (Mi chiedo perché non sia venuto a
prendere anche me dal Paese delle meraviglie. Gli avrei sicuramente dato
soddisfazioni!)
Ho allenato giocatori di serie A come Boselli e Mentasti. Sono
stati momenti di grande basket. Non professionistico, ma pur sempre grandi
momenti.
Quando gioco, gioco per vincere con persone che vogliono vincere e
mettono il loro bagaglio tecnico, fisico, morale. A Gavirate e Bosto mi sono
divertito. Eccome!
“E’ bello avere un
minibasket” è uno stato apparso sul tuo profilo di Facebook non molto tempo fa…
È una cosa mia di cui vado orgoglioso. Se le cose non vanno come
devono andare è colpa mia. Mi sento molto responsabile, certo, però vuol dire
portare avanti la propria filosofia sia educativa (che alla fine è quella più
importante), sia quella cestistica. Chiaro che mi diverto se ho dei bambini che
giocano in un certo modo, non lo nego, ma è anche vero che sono sempre andato
all'arrembaggio con bambini che magari non avevano i requisiti ma sopperivano
con altre qualità.
È investire di
nuovo. Potevi essere pago, invece...
Mi nutro nello stare con i ragazzi giovani e con una sorta di
egocentrismo mi sento realizzato, preparato per quello che faccio.
Aspettative sulle
squadre che stai facendo crescere?
Tante. Prima di tutto creare qualcosa che possa andare avanti senza
il mio impegno così importante. Quindi trovare collaboratori e famiglie dei
ragazzi che entrino nel mio modo di pensare.
Quando ho iniziato ho avuto l'idea che lavorando sul gruppo,
lavorando sull'amicizia, sulle persone disposte a condividere si può dare molto
di più di quanto possa dare il singolo individuo. Mi piacerebbe creare una piccola
oasi di serenità dove i ragazzi possono giocare a seconda delle loro capacità a
vari livello. I bravi devono essere potenziati in un certo modo. Quelli meno
bravi devono comunque essere seguiti perché potrebbero essere i nostri futuri
tecnici, preparatori, arbitri. Creare qualcosa che si alimenti dei propri
giovani.
Dicevi prima che ai
ragazzi ti piacerebbe che restasse quel che dai.
Certo, non solo dal punto di vista tecnico. Il ragazzo che fa un’attività
sportiva come si deve ha degli schemi mentali e caratteriali che nella vita torneranno
sicuramente utili. Il basket e lo sport in genere sono un'occasione, uno
strumento per far crescere ragazzi. E sono sicuro che così facendo nella vita saranno
persone positive, cittadini corretti.
Emozioni quando
scendi in campo?
Mah... Io sono sempre abbastanza teso anche se non si vede. Mi
preoccupo che tutto quello che mi circonda sia tranquillo: dai genitori perché
non siano eccessivamente scatenati, ai ragazzi perché giochino tutti. Vorrei
che il bambino che ha giocato poco fosse felice come quello che ha giocato
tanto. Tutto queste cose mi creano tensione. Non così per la parte sportiva.
Il mio motto è “io gioco per vincere ma non faccio niente per
vincere” nel senso che quando gioco è chiaro che gioco per vincere ma non è che
lavoro unicamente per vincere ma per far crescere il gruppo in modo che poi
possa vincere. Se volessi giocare per vincere giocherei in un altro modo: sarei
più aggressivo con l'arbitro, con i genitori, con i giocatori stessi. Lo so fare
benissimo (non stento a crederlo). Ma
quando gioco, la mia paura è che dall'altra parte qualcuno faccia qualcosa non
coerente con la partita che sto facendo.
Una gaffe ti sarà
capitata (cerco di intaccare la perfezione di Re Vincenzo I)
Sghignazza. Ne ho fatta una forte:
allenavo il gruppo Juniores della pallacanestro Varese e avevamo una squadra
importante. Quando si allenano questi gruppi di giocatori semiprofessionisti,
i genitori sono pronti a fare polemiche
a non finire. Un giorno negli spogliatoi ripresi duramente i ragazzi dicendo
che non poteva interessanti nulla di quel che dicevano i loro genitori e che
quello che stimavo di più era Mxxxxxx il cui padre non rompeva mai. Il problema era che il papà proprio non
c'era. Furono tutti raggelati e ovviamente non potei far altro che scusarmi...
Bevanda quando sei
in campo.
Ultimamente quella di Mattia. Porta sempre le bevande energetiche
dolci, l'acqua non è contemplata.
Quando ho fatto le
interviste a qualche ragazzino mi son sentito dire: "Sembra che non ci
guardi, ma lui guarda tutti".
Non guardo gli avversari perché voglio essere concentrato su quel
che succede. Si, è una mia caratteristica. Se le cose sono sotto il mio
controllo tengo tutto monitorato. Per ora. Poi quando i ragazzi saranno più grandi
le cose cambieranno di sicuro. Si evolveranno.
Un sogno nel
cassetto.
Cestisticamente mi piacerebbe, quando smetterò, essere ricordato
per il lavoro che ho fatto con i ragazzi e per ciò che ho costruito.
Ora uno scheletro
nell'armadio.
Mi guarda e so che
ha già pensato prima ancora che arrivassi al punto dopo la o di “armadio”. E’
indeciso se partire o no. Lo incoraggio con uno sguardo. E’ non avere su… si ferma.
Ha deciso di tenere lo scheletro nell’armadio ancora un po’. Rispetto la
scelta.
Luoghi in cui ti
senti a casa.
A casa mia. In palestra sto bene quando le cose vanno bene.
Mezzo di trasporto
preferito.
Lo scooter.
Portafortuna.
La catenina di mio papà. Vedi? La porto sempre al collo.
La prima partita
di serie A che hai visto.
La grande Ignis, credo.
Per chi tifi?
Per le squadre che giocano bene. In questo momento Golden State e Sanantonio.
Lo sai che i
genitori dalle gradinate si divertono a commentare i tuoi rimproveri?
Sì, quando si crea questo clima di simpatia mi diverto. Posso
usare un gergo e un frasario solo se mi sento a mio agio.
Cosa diresti ai
ragazzi?
Di cercare sempre di realizzarsi, facendo le cose con passione. Se
io facessi una cosa che non mi piace non troverei le energie per farla.
Manda un sms ai
genitori.
Il gioco aiuta a crescere, le partite si vincono e si perdono.
Quando è finita, bisogna essere molto sereni. Si gioca per il piacere di
giocare. Si è lì per il piacere di esserci, di essere squadra. Se uno vince e
tutti gli altri no, che gioco è? Cosa rimane? Gioco per vincere ma con l'idea
che lo stare assieme dà emozioni, che il sudore, l'arrabbiatura, il pianto sono
sensazioni uniche bellissime per i ragazzi. I genitori che cercano di
intromettersi non capiscono.
Che squadra NBA
sceglieresti di allenare oggi?
Golden State o Spurs.
Qualcosa che ti fa
un sacco ridere.
Non so, rido poco di solito.
Male! Non sai che
farebbe bene anche alle tue gambe?
Crozza mi fa molto ridere quando imita il senatore Razzi. Le tue
interviste mi fanno sorridere.
Bravo! Vedi che
qualcosa si trova sempre?
Fiore da regalare
a una signora.
Classica rosa rossa (gentiluomo!)
Mi guardo in giro
e vedo il vuoto. I presenti se ne sono andati, le luci si stanno spegnendo. Mentre
chiacchieravamo amabilmente qualcuno si è discretamente fermato a chiedergli qualcosa
e gentilmente Vincenzo ha risposta a ogni domanda. Così come gentilmente, senza
rimandarmi al Paese delle meraviglie, ha risposto a me. Abbiamo fatto tardi. Come potevo limitare
quel fiume di ricordi, di consigli, di emozioni? Proprio impossibile. Gli sono
grato per averle condivise volentieri. Avrei ancora tanto da chiedere, ma
stasera mi fermo qui.
Caffè?
No, grazie. Passo.
Gli stringo la
mano, lo ringrazio per il piacevole incontro, ci salutiamo.
Chapeau.
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